Tra meno di un mese assisteremo alla celebrazione della “vittoria”. Il 4 novembre 1918, un giorno dopo l’armistizio di Villa Giusti, gli italiani entrarono a Trento e Trieste. Fu quella la guerra “che pone fine a tutte le guerre?” No. Il mega-suicidio collettivo europeo, dal nazionalismo al nazi-fascismo, continuò imperterrito verso la più grande catastrofe che la storia ricordi. Ma non vogliamo parlare delle battaglie, né dei grandi episodi di questa abominevole carneficina, vorremmo invece tornare sull’importanza e il significato della Prima Guerra Mondiale per la classe operaia. Perché se essa ha rappresentato il tornante nella storia dell’umanità, lo fu anche tragicamente per le organizzazioni del movimento operaio. Questa guerra segna il momento in cui, in quasi la totalità dei paesi, si evidenziarono le faglie delle direzioni delle organizzazioni operaie e gli effetti perdurano fino ad oggi. Non si può capire la storia dei partiti socialista e comunista e dei sindacati attuali, senza prendere in conto questo periodo e la rottura che esso rappresenta nella storia del Movimento operaio internazionale.
La spartizione del Mondo tra le potenze
Giusto un secolo fà lo sviluppo industriale che aveva permesso alle classi dominanti di stabilizzare il loro dominio sull’intero pianeta si chiuse con questa prima guerra mondiale della storia; Il suo fine era la spartizione del mondo fra le grandi potenze capitaliste. Così tutte le scoperte del secolo precedente: le innovazioni tecniche e scientifiche, la rivoluzione dei trasporti, l’uso del vapore, dell’elettricità e del petrolio, tutte scoperte potenti per riscattare l’umanità dallo sfruttamento, dalla miseria e dall’ignoranza, si infrangono su quattro anni e mezzo di scontri portatori di morte e con un inferno, risultato di scontri fra sovranisti assetati di potere, di guadagni e di supremazie micidiali. Un monito per il presente. La propaganda nazionalista di allora aveva il compito di arruolare le masse e i lavoratori più poveri, come nel nostro Sud, per difendere gli interessi dei loro sfruttatori che con questo annullavano gli sforzi delle organizzazioni operaie e dei movimenti socialisti che cominciavano a diventare forti e ascoltati.
Le leghe nazionaliste e patriottiche
Come diceva Paul Lafargue: “La borghesia batte e ribatte sulla pelle dell’asino del patriottismo, dell’amor di patria e dell’onore alla bandiera con lo scopo di scoraggiare e di abbrutire i proletari, così che si sacrifichino per difendere le ricchezze sociali che essa ha loro sottratto”. Finanziate da potenti uomini d’affari, che usavano miliardi di fondi pubblici per i programmi di armamento e per riorganizzare gli eserciti, le leghe nazionaliste o “patriottiche” spuntarono come funghi. Giornalisti di punta, scrittori e intellettuali rivalizzarono per indicare il nemico che bisognava imparare ad odiare: in Francia fu il turno del Regno Unito e poi della Germania; in Italia: l’Austria e a seguire, secondo i balletti diplomatici, gli altri stati. Ma per i “signori della guerra” tutto era pronto nell’agosto del 1914, restava la grande incognita della reazione del movimento operaio. E fu la repressione dei dirigenti, dei rappresentanti delle associazioni operaie e dei militanti per far tacere voci avverse alla guerra. Poi s’infiltrarono i partiti operai e si indebolirono i dirigenti sindacali.
I venti milioni di morti
In quel momento l’Internazionale contava 3,5 milioni di aderenti e influenzava una grande massa di lavoratori. Per i fautori del conflitto mondiale bisognava distruggere questa forza operaia con tutti i mezzi anche a costo di rischiare la sconfitta o l’annientamento dell’ordine costituito. Bisognava rifare il mondo e avanzare in un ordine nuovo di speculazioni e di cambiamenti economici spettacolari o perire. Sappiamo com’è andata a finire: con i suoi venti milioni di morti, i feriti innumerevoli, i disabili e le vite distrutte anche a livello psichico e tutte le distruzioni che questa guerra comportò, si rivelò il grado di marciume che una società opulenta poteva inventarsi per i suoi scopi antistorici e meschini. Oggi, il cancro nazionalista riappare così come gli integrismi religiosi sullo sfondo di povertà assolute (5 milioni in Italia e altrove stesso scenario) di miserie e di arretramento anche culturale e etico; il pianeta in dissesto e le guerre che non finiscono mai.
Ancora oggi la minaccia di altri conflitti
In questo contesto, vale la pena ricordare la Prima Guerra Mondiale come un momento storico in cui la vittoria, per l’Italia, si concretizzò in immagini che invito tutti a vedere: Lo straordinario filmato del corteo funebre del Milite Ignoto che attraversò tutta l’Italia dopo la “Vittoria”; una scia di mestizia e di dolore che la diceva lunga sulla situazione del Paese di allora; fra ali di povera gente e di famiglie distrutte dai lutti si consumò la tragedia di un secolo e già si evocavano gli spettri di un futuro nefasto. Malgrado gli eroismi, i sacrifici di migliaia e migliaia di uomini, l’Italia e il resto del mondo uscirono da questo orrore indebolite economicamente e con una classe operaia fiaccata. Ma se oggi la Prima Guerra Mondiale è un fatto storico, l’economia capitalista selvaggia imperversa così la minaccia di altri conflitti. In nome del dio denaro la minaccia ci sovrasta con il suo corteo di fanfaroni e nemici dei popoli pronti a sbandierare e a predicare le solite favole: razzismo, nazionalismo, consumismo insensato, egoismo etc. Che il primo massacro di cui celebriamo il ricordo fra poco ci sia di stimolo e propizio a sperare, chè noi siamo capaci di lottare e di difenderci molto meglio dei nostri nonni.