Dottor Bandiera, una delle sue cariche è proprio quella di Consigliere del Com.It.Es. di Ginevra, dopo un anno di esperienza in seno a questo organo eletto, qual’è il suo bilancio?
Un anno è passato molto rapidamente e come era prevedibile tante questioni urgenti son state trattate. Sin da subito ho accettato la delega per le questioni legate al lavoro, alla migrazione e al sociale. Ho potuto iniziare a lavorare su un progetto di assistenza alla nostra comunità e ai bisogni dei nostri connazionali. Grazie ai tanti contatti che ho sviluppato in questi anni nel nostro cantone si sta avanzando con un buon ritmo.
Di cosa si tratta esattamente?
Di una proposta già lanciata pubblicamente prima del rinnovo del Com.It.Es. e che per me è diventata adesso un impegno personale con la nostra comunità: la creazione di uno sportello sociale. Sveleremo i dettagli nei prossimi mesi, siamo ormai molto vicini alla finalizzazione del progetto.
L’idea è di rendere più efficiente il trattamento amministrativo consolare grazie al sostegno del Com.It.Es. e di una rete di partner qualificati, a cominciare dai patronati. Qualcosa in questo senso si muove anche in grandi centri europei come Londra e Dortmund, vogliamo portare Ginevra al livello che le compete.
Da quanti anni vive a Ginevra?
Ormai da tanto, son arrivato qui quasi 15 anni fa, non pensavo di restare così a lungo. Faccio parte di quella generazione di giovani italiani che una volta terminati gli studi universitari ha fatto la scelta di scoprire nuove realtà all’estero. Prima di arrivare a Ginevra ho lavorato e vissuto in Spagna e in Venezuela. A Caracas per un periodo ho ricoperto il ruolo di direttore didattico dell’Istituto Italiano di Cultura. L’Italia purtroppo resta un paese avaro di opportunità per i giovani, specie se si é qualificati, a Roma la nostra classe dirigente dovrebbe lavorare più efficacemente su questa questione. E poi qui a Ginevra ho trovato la mia dimensione, sia in ambito lavorativo che nella sfera privata. Oggi mi sento totalmente integrato con quella che considero casa mia, ho da poco ricevuto anche la nazionalità svizzera. Ho potuto continuare a coltivare i miei interessi e ad apprezzare i tanti lati positivi del nostro Cantone.
Ce ne dica qualcuno…
Ginevra offre una qualità di vita altissima, non solo a livello nazionale ma anche internazionale. Nonostante questa dimensione da capitale globale, aperta verso il mondo, la città e il suo territorio conservano ancora un’anima e un’identità elvetica. Il nostro è un cantone sicuro, dove si può vivere in tutta tranquillità e stare in giro fino a tardi la sera senza nessun problema. E poi tanti eventi culturali e tante opportunità professionali. Senza dimenticare che si resta molto vicini all’Italia, quando affiora un po’ di nostalgia…
Lei è ben noto per le sue attività sindacali, di cosa si occupa in particolare?
Di tante cose insieme, il lavoro di un sindacalista è molto vario e bisogna avere tante competenze riunite. Molto diverso dallo stereotipo che spesso lo accompagna. Da un lato bisogna occuparsi della difesa individuale e collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche della sorveglianza del mercato del lavoro, della gestione delle convenzioni collettive, della previdenza professionale, delle campagne tematiche per far avanzare i diritti sociali e politici…le cose da fare non mancano davvero! La cultura delle relazioni industriali è molto diversa da quella esistente in Italia e anche i rapporti tra sindacati e associazioni padronali son diversi, impostati essenzialmente attorno al partenariato sociale. Si cerca spesso il consenso e meno lo scontro, anche se quando ci vuole una piccola scossa per far avanzare le cose i sindacati svizzeri fanno la loro parte.
Viviamo un’epoca molto incerta, quali sfide considera come prioritarie?
Le crisi si sommano l’una con le altre, creando una situazione di grande incertezza. Spesso la paura rischia di prevalere in questi periodi, lo abbiamo già visto nella nostra storia recente. La crisi sanitaria legata alla pandemia non è ancora totalmente scomparsa. Nel frattempo la crisi energetica legata al conflitto in Ucraina accentua le criticità del vivere quotidiano: l’inflazione non è mai stata così alta da decenni e il potere di acquisto dei lavoratori, dei pensionati, degli studenti si è notevolmente ridotto. Le imprese stesse, grandi o piccole che siano, hanno seri problemi. Ci vuole sicuramente un forte cambiamento in seno alle istituzioni che ci rappresentano. Si parla oggi di “Green New Deal”, un nuovo patto sociale intorno alle questioni della sostenibilità delle attività economiche e dell’adattamento al cambiamento climatico. Tutta la società è interessata e bisogna lavorare in questo senso. La giustizia climatica deve essere accompagnata dalla giustizia sociale. Altrimenti avremo una società senza alcuna coesione.
Un messaggio finale per i nostri lettori…
La nostra emigrazione ha conosciuto tante sofferenze nel passato, siate sempre orgogliosi delle nostre radici. Bisogna guardare adesso con fiducia al futuro, lavorando ogni giorno per una transizione verso una società più sostenibile, più solidale, più giusta.