La migrazione Italiana in Francia

doraura_emporioDopo aver parlato della Francia in diverse salse, oggi vorrei portare il discorso su un tema storico di fondamentale importanza. In questo articolo parleremo della migrazione italiana in Francia.

La Francia é un Paese fortemente multietnico, con circa l’11% della popolazione composto da immigrati . Secondo i dati Forniti dalla RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO (2021) della fondazione Migrantes gli italiani residenti in Francia  al 2021 erano 444.113.

Ma la storia della migrazione italiana in Francia è una storia che affonda le sue radici nella seconda metà dell’800  eventi questi  che hanno segnato, in parte, le relazioni bilaterali tra Italia e Francia.

Penso sia di fondamentale importanza conoscere determinate dinamiche storiche per avere una chiave differente di lettura per quanto riguarda i movimenti migratori. Ci sono sempre delle motivazioni sociali, psicologiche, economiche, antropologiche e politiche dietro gli spostamenti di noi umani

Questo articolo non lo scrivero’ sola, per rendere onore all’importanza del tema ho deciso di fare una breve intervista a qualcuno di decisamente più esperto di me! 

Oggi siamo in compagnia della dottoressa Elisa Pareo, dottoranda in Scienze archeologiche, storico- artistiche e storiche, presso l’Università di Verona in cotutela con l’Università di Parigi 8. Elisa sta scrivendo una tesi di dottorato dal Titolo:  Gli italiani e la seconda guerra mondiale nel Nord -pas-de-Calais. Partecipazioni, integrazioni, ritorni.

Vorrei cominciare, Elisa, domandandoti in quale periodo storico ci furono le principali ondate migratorie verso la Francia, in modo tale da contestualizzare il discorso;

La migrazione di massa italiana in Francia si è realizzata essenzialmente tra la fine dell’800 e gli anni ’60 del 900. I tre momenti in cui i flussi migratori sono più cospicui coincidono con le principali ondate dell’emigrazione italiana nel mondo: dopo l’unità d’Italia le migrazioni stagionali legate ai mestieri tradizionali, diffuse soprattutto in Piemonte e Val d’Aosta, divennero la base per una migrazione di massa che rese la Francia la prima meta di emigrazione italiana in Europa, terza al mondo dopo gli Stati Uniti e l’Argentina. Dopo la prima guerra mondiale, la chiusura delle rotte atlantiche fece della Francia il primo paese di destinazione per i migranti, anche grazie al Trattato di lavoro del 1919 che equiparava il trattamento dei lavoratori italiani a quello riservato ai francesi. L’ultima ondata si colloca nel decennio successivo alla fine della Seconda guerra mondiale e può essere letta alla base del processo di integrazione economica europea in cui, come noto, l’Italia fornì un contributo soprattutto in termini di manodopera.

Quali erano le principali motivazioni dei movimenti migratori degli Italiani nella Francia?
Già alla fine dell’800 la Francia mostra una contrazione della crescita demografica, a fronte invece di un sviluppo industriale crescente. L’Italia postunitaria aveva invece un alto tasso di natalità, mentre l’agricoltura (il settore che impiega il maggior numero di lavoratori) era caratterizzata da una concentrazione della proprietà fondiaria che impediva la modernizzazione. La migrazione di massa verso la Francia non si spiegherebbe tuttavia senza il fattore socio-culturale, a completamento delle ragioni demo-economiche. Una serie di mestieri artigianali (ambulanti, statuettisti, musicisti, gelatai…) avevano una lunga tradizione migratoria attraverso le Alpi: sono queste esperienze che permettono di pensare e realizzare una migrazione che muta con l’affermarsi del mondo industriale, rendendo stabili movimenti inizialmente concepiti come temporanei. Accanto a queste ragioni non bisogna dimenticare le migrazioni politiche, legate al mito della Francia patria dei diritti dell’uomo, che contano illustri espatriati già prima del fuoriuscitismo antifascista: Giuseppe Mazzini, Errico Malatesta, Amilcare Cipriani, Sante Caserio…

Su cosa si basava l’economia nel Nord-Pas-de-Calais? Quindi che mansioni lavorative ricoprivano i migranti italiani?
Il Nord-Pas-de-Calais era una regione a forte vocazione industriale sin dalla fine del XVIII secolo: l’industria estrattiva e la lavorazione del carbone lungo il bacino minerario, si affiancavano all’agglomerato industriale Lille-Roubaix-Tourcoign, noto per il tessile ma rappresentativo anche per l’industria del mattone e la siderurgia. La regione divenne mèta della migrazione italiana a partire dalla seconda ondata all’inizio degli anni Venti: nei primi anni il reclutamento degli italiani fu legato ai lavori di ricostruzione di canali, campi e officine distrutte dai combattimenti in trincea. La stabilizzazione vide invece i lavoratori italiani impiegarsi nelle miniere e in tutte le mansione ad esse legate; tuttavia il settore di maggior impiego, soprattutto nel capoluogo del dipartimento, fu quello delle costruzioni, che comprendeva non solo muratori e cementai, ma anche mestieri artigiani come decoratori, mosaisti, falegnami, pittori, figurinai…

Questi movimenti migratori venivano regolati e controllati dai due Stati? Quello francese e quello italiano?
Alla base di una migrazione c’è sempre una scelta individuale o piuttosto familiare, tuttavia le scelte di singoli e gruppi devono sempre tener conto delle relazioni internazionali. Un primo tentativo del Regno d’Italia di tutelare i lavoratori in partenza si segnala con la fondazione del Commissariato generale dell’emigrazione nel 1901. La storiografia data invece alla Prima guerra mondiale l’avvio di quella che viene chiamata diplomazia sociale, volta a regolare le condizioni di ingresso e di impiego dei lavoratori italiani sul mercato francese. A partire dal 1919 dunque il lavoro congiunto del Ministero del lavoro francese e del CGE prevede che i lavoratori giungano alla frontiera con il contratto di lavoro firmato e vistato dal Ministero. La storiografia dimostra tuttavia che i percorsi per l’espatrio differiscono spesso da questo schema, nonché che le reti di amicizia e parentela se ne servirono piegandolo ai propri bisogni. Si può invece parlare propriamente di controllo da parte dei due Stati (senza escludere naturalmente che alcuni individui vi siano sfuggiti) per l’avvio dell’ondata del secondo dopoguerra. Un primo accordo bilaterale del 1946 prevedeva l’invio in Francia di 20.000 minatori italiani, il secondo del febbraio 1947 includeva un piano per l’espatrio di 200.000 lavoratori italiani. La contropartita per l’Italia stava  nell’acquisto di carbone a prezzo calmierato.

Il popolo Francese in che modo viveva queste ondate migratorie? Avevano comportamenti xenofobi nei confronti degli italiani?
La storiografia dell’emigrazione considera la migrazione italiana un caso scuola di integrazione, poiché si tratta di un’esperienza conclusa della quale possiamo valutare l’evoluzione sul lungo periodo. L’arrivo della migrazione di massa alla fine dell’800 ha dato luogo a fenomeni di xenofobia, il più noto dei quali è l’eccidio di Aigues Mortes dell’agosto 1893: un numero mai stabilito di lavoratori italiani fu ucciso nel corso di due giornate di scontri con i lavoratori francesi tra le saline, ove erano impiegati, e il borgo. E’ importante tuttavia inserire gli episodi di xenofobia di questa fase nell’ambiti dei conflitti sociali che interessavano il mondo del lavoro francese. Gli immigrati, ancor più se stagionali, erano interessati a guadagnare il più possibile in poco tempo, pertanto accettavano condizioni contrattuali e salariali che ostacolavano le rivendicazioni sindacali portate avanti dai francesi. Gli storici hanno infatti sottolineato come per l’integrazione dei lavoratori stranieri sia stato indispensabile il loro inserimento nelle battaglie sindacali, realizzato con tempi diversi soprattutto nel periodo tra le due guerre. La dichiarazione di guerra dell’Italia  fascista e l’invasione del Sud della Francia il 10 giugno 1940 rappresentano momenti di rottura all’interno del processo pluridecennale di integrazione degli italiani in Francia. Alla fine della guerra tuttavia il risanamento dell’immagine degli italiani agli occhi della popolazione francese fu uno dei primi compiti dell’associazione Italia libera, che, assieme al Comité d’action et defense des immigrées, si impegnò per render nota l’importanza degli stranieri in Francia, per la lotta contro l’occupante e per la ricostruzione economica. Nel secondo dopoguerra si registrano ancora tracce di xenofobia, dovute soprattutto al fatto che per la prima volta la gran parte degli italiani che giungevano in Francia provenissero dal Sud della Penisola: non mancano neppure nei rapporti di polizia stereotipi come “gratteur de guitare” o “figli del sole” che mal si adattano al lavoro in miniera. A partire dagli anni ‘60 infine, le ondate di migranti dall’ex-impero coloniale divennero i principali destinatari della xenofobia francese, mentre gli italiani (e i polacchi) venivano dipinti come nazionalità più desiderabili poiché più simili ai francesi, dimenticando invece che il loro inserimento si deve a un processo lungo. Pierre Milza ha sostenuto che nel corso del XX secolo la scuola pubblica e l’unità sindacale siano stati importanti vettori di integrazione, mostrando dunque che le difficoltà date dall’inserimento dei nordafricani fossero dovute, più che alla loro inassimilabiltà (come sostenuto ad esempio da Jean Marie LePen), alla crisi delle classiche strutture di inserimento dello Stato francese.

Un tema ampio e di fondamentale importanza sulla quale si potrebbe scrivere un manuale intero. Ringrazio di cuore la Dottoressa Pareo, alla prossima.