La Nilde, così detta in famiglia, mia madre, non è più.
L’addio in un giorno settembrino, come la fiammella di una candela che si spegne al sorgere dell’alba, orgogliosa d’avere illuminato l’umile magione nel buio della notte.
Già. Nilde, mia madre, che mi accompagna a salutare la grande signora, Nilde Iotti, talmente maestosa da sembrarmi la madonna pellegrina del tempo che fu.
Nilde che diffonde “Noi Donne”, il periodico che indica all’altra parte del cielo la nuova novella del riscatto e della pari dignità.
Nilde che saluta, accompagnandolo con un urlo straziante, il suo uomo in partenza per l’Australia, la terra promessa. E noi, Antonietta e Gianni, abbracciati a promettere obbedienza e amore. Ancora oggi risento lo sferragliare del treno nella sera in cui immagino il babbo che guarda all’insù , al villaggio che svanisce ai suoi occhi.
Nilde che mi accarezza nella gelida notte dicembrina. Ed io che fingo di dormire, per ghermire più a lungo il tepore della sua mano.
Nilde che segue il sogno dello zingaro partito all’abbraccio del mondo. E lei ad informarmi dei fatti lieti e tristi, da sembrarmi il conversare della frugale cenetta serale. Nilde, mia madre, che mi accoglie appena eletto nel parlamento repubblicano, raccomandandomi attenzione agli umili, alla povera gente.
Nilde che non ho più abbracciato da quel giorno antico. Ed io, oggi, a domandarmi come ciò, se non un fallace pudore, sia stato possibile.
Nilde mia e nostra madre, a cui Antonietta ha dedicato, nei decenni e ogni giorno, sopperendo alla mia lontananza, tanta parte delle premure che si devono ai nostri cari nel tempo della bruma.
Nilde, nei pensieri di Katia, sua diletta nipote, a cui la famiglia ha affidato il mandato per uno scritto a ricordo, un mirabile schizzo d’inchiostro a scolpire una vita.
Nilde, mia madre, ti sia lieve la terra.
(Le mani di Nilde – di Katia, sua nipote)
Queste sono le mani di una donna nata nel 1920.
Mani che hanno cucito, cucinato, lavato, sferruzzato, raccolto tonnellate di porcini, finferli, chiodini, mirtilli, legna da ardere, zappato, potato, innestato, tirato il collo a migliaia di polli, bucato centinaia di uova con il ferro da calza per porgermele calde di pollaio.
Mani obbedienti che bambine hanno applaudito il duce, mani che hanno pregato e hanno però votato sempre indipendentemente, che figuriamoci se poteva essere peccato.
Mani che hanno cresciuto figli e nipoti, che hanno resistito, nascosto, che sono sopravvissute agli orrori e al terrore, mani che hanno conosciuto rara tenerezza. Mani dure e forti nei miei ricordi, eppure da ultimo mani morbide come di bambina, trasparenti come muta di serpente.
Queste sono le mani che hanno attraversato un secolo, ciao nonna Nilde.