Il film ci porta dentro la vita di Camilla (Kasia Smutniak), avvocatessa di successo con una figlia ormai grande (Caterina Forza), che viene sconvolta in una notte di pioggia a Milano. Un incidente stradale, di cui forse è responsabile, la coinvolge in un’indagine che la porterà molto lontana dai luoghi e dai paesaggi che è abituata a frequentare. Al suo fianco in questa strada misteriosa e incerta, c’è Bruno (Francesco Colella), direttore dell’obitorio, con cui Camilla ‐ mentre cerca di ricostruire la vita di un estraneo ‐ scopre sé stessa.
L’idea iniziale del film era di un thriller psicologico. Poi è apparsa una donna posta davanti ad un mistero. 3/19 è un film pieno di suggestioni. Nella scrittura del film quanto ha influenzato la pandemia che ha fermato tutto?
Probabilmente, qualcosa sì. Il film era stato scritto quasi interamente prima, ma è stato finito durante la pandemia. È il risultato di un’idea che un evento mettesse uno stop alla vita di una persona e la obbligasse a riflettere su costa stava succedendo e riportasse a galla nella sua memoria un passato un po’ sepolto. La pandemia non ha fatto altro che dare una spinta alla storia. Ci ha fatto capire ancora di più il significato di una sosta alla propria vita. Noi viviamo come in un ingranaggio che va avanti, ma quando si ferma avviene qualcosa. A Camilla, la protagonista del film, un personaggio estremo per la vita che conduce, succede proprio questo. Per lei il tempo è denaro in quell’ingranaggio dal quale non può uscire. Quella notte rimane a terra, sull’asfalto, sotto la pioggia. Da quell’evento tenta di continuare la vita nelle stessa modalità, ma non ci riesce.
È un film ricco di tematiche psicologiche: l’identità personale, i ricordi, la memoria, la relazione con il tempo, il connubio cambiamento-rinascita. Da dove nasce questo suo interesse verso queste tematiche?
Nel mio mestiere credo occorra interrogarsi, man mano, rispetto alle tematiche che interessano ed emergono nel corso della propria vita. Le cose cambiano e si guarda la vita in un altro modo. Penso che solo portando in scena quei temi che in quel determinato momenti senti fortemente, riesci a coinvolgere altre persone nella storia.
Come mai questo cambiamento di titolo nella locandina da “3/19” in Italia a “Il Giardino del Re” in Svizzera?
Ho aggiunto questo secondo titolo perché 3/19 è troppo ermetico. “Il Giardino del Re” è un titolo che si capisce, si sa cos’è, che porta la protagonista fino alla conclusione della storia in quel determinato luogo molto lontano dalle luci dell’inizio del film.
Lei è nato a Milano, ma la sua famiglia è originaria del Ticino. Che rapporti ha con la Svizzera?
Non ho vissuto mai realmente in Svizzera, tranne un paio di mesi per lavoro a La Chaux de Fonds quando avevo appena 20 anni. E sono tornato nelle stesse zone per girare il film „Brucio nel vento“ nel 2002. A Lugano sono tornato spesso. La Svizzera ha co-prodotto tutti i miei film. E c’è inoltre una consuetudine vacanziera, perché mia madre ha un appartamentino in montagna, nei Grigioni, dove ancora oggi con la mia famiglia vado.