AVS Svizzera, sin dal principio, è entrata a far parte attivamente del Comitato svizzero per il Sì ai Referendum, quali sono le motivazioni di questa scelta?
Abbiamo scelto di aderire al Comitato svizzero per il Sì perché questi cinque referendum rappresentano una battaglia decisiva per i diritti, per la giustizia sociale e per la dignità di milioni di persone. Come Sinistra Italiana e Verdi ci riconosciamo pienamente nei contenuti dei quesiti: vogliamo fermare la deriva autoritaria che riduce gli spazi di libertà, smantella le tutele del lavoro e colpisce chi è già ai margini. Difendere il lavoro, garantire sicurezza sui luoghi di lavoro, ridare potere alla magistratura del lavoro, riconoscere il diritto alla cittadinanza: sono tutte battaglie che parlano di un’idea diversa di Paese, più equa e inclusiva.
Da subito, in Svizzera, abbiamo costruito un’alleanza larga con forze sindacali, associative e democratiche che condividono lo stesso obiettivo: rendere possibile un’Italia migliore. Crediamo che anche chi vive all’estero debba avere voce in capitolo. Perché il cambiamento comincia da una scelta semplice ma potente: andare a votare e dire cinque volte SÌ.
AVS Svizzera nasce proprio con l’obiettivo di dare voce a chi vive fuori dai confini nazionali, ma non vuole restare ai margini del dibattito politico. Per noi è una responsabilità ma anche un dovere morale: partecipare alla campagna referendaria significa lottare per un’Italia migliore, anche da lontano. Un’Italia che non escluda, che protegga chi lavora e che riconosca pienamente chi in Italia è cresciuto e ci vive ogni giorno.
I Referendum richiedono maggiori tutele, maggiore stabilità e maggiore sicurezza sul lavoro e una riduzione tempistica per accedere alla cittadinanza italiana, in che modo secondo voi questi possono coinvolgere le italiane e italiani all’estero?
Molti di noi vivono all’estero proprio perché in Italia hanno incontrato precarietà, sfruttamento, mancanza di prospettive. Altri sono figli e figlie di chi è partito cercando un futuro migliore. Eppure, l’Italia resta un punto di riferimento: affettivo, culturale, politico. Un legame che non si spezza solo perché si è cambiato Paese.
I referendum parlano anche a noi. Parlano di dignità del lavoro, del diritto a non morire mentre si lavora, del riconoscimento della cittadinanza per chi è italiano nella vita ma non ancora nei documenti. Temi che ci riguardano, ovunque siamo.
La posta in gioco è anche nostra. Perché vogliamo un’Italia in cui si possa scegliere di restare, o anche di tornare. Un’Italia che non esclude, che non umilia, che non costringe a partire per forza. Votare da fuori è un gesto di responsabilità verso chi è rimasto. Ma anche un modo per non dimenticare chi siamo.
E anche per chi oggi non ha più legami diretti con l’Italia, votare è importante. Perché le battaglie per i diritti e la giustizia sociale non hanno confini. In un mondo sempre più interconnesso, le scelte che facciamo in un Paese possono influenzare e ispirare cambiamenti altrove. Partecipare al voto significa contribuire a una rete globale di solidarietà e impegno per un futuro più equo per tutti.
Quale il significato politico dei 5 Referendum e quale per voi l’importanza di votare 5 volte SÌ?
Hanno un significato fortissimo: questi referendum non sono tecnicismi giuridici, ma un’occasione concreta per dire basta a un certo modo di governare. Un modo che ha normalizzato la precarietà, ha reso il lavoro più debole, ha smantellato tutele e alimentato le disuguaglianze. Cinque SÌ vogliono dire: più diritti, meno paura. Vuol dire restituire dignità al lavoro, fermare gli abusi, rimettere al centro la giustizia sociale. Vuol dire dare voce a chi lavora, a chi cresce in Italia senza essere riconosciuto, a chi troppo spesso viene ignorato o sfruttato.
Andando più nel dettaglio: un SÌ servirà a cancellare le norme che hanno reso i contratti a termine sempre più facili e abusati. Un altro a garantire più sicurezza sul lavoro, permettendo di fermare le attività pericolose prima che sia troppo tardi. Un altro ancora a rafforzare la figura del giudice del lavoro, oggi fortemente limitata. E poi c’è il SÌ al ripristino della piena reintegrazione per i licenziamenti illegittimi, e infine quello per una legge più giusta sulla cittadinanza, che riconosca come italiani coloro che già lo sono nella realtà.
C’è chi spera che la gente resti a casa, che non voti, che lasci correre. Ma il nostro voto, anche da qui, può cambiare le cose. È proprio questo che temono: che le persone si riprendano il diritto di decidere.
Per questo l’8 e 9 giugno votiamo, partecipiamo, non ci tiriamo indietro. Cinque SÌ per un’Italia che non esclude, non sfrutta, e non lascia indietro nessuno. Un’Italia più giusta, anche per chi vive lontano.