Oltre due ore di risate in Germania! Intervista con Dado

Il comico, cabarettista e cantante, Dado, si è esibito sabato 29 marzo per la prima volta in Germania con lo spettacolo “DADO NON SENTO NON VEDO E STRAPARLO” organizzato dal Gruppo SASA. La nostra intervista con l’artista romano (Gabriele Pellegrini). (Foto Trifone Mastrogiacomo)

Il comico, cabarettista e cantante, Dado si è esibito sabato 29 marzo per la prima volta in Germania con lo spettacolo “DADO NON SENTO NON VEDO E STRAPARLO” organizzato dal Gruppo SASA. Il pubblico presente è stato coinvolto in uno spettacolo a 360° gradi con oltre due ore dalle quali si è evidenziato il talento dell’artista romano. La nostra intervista con l’artista romano.

La tua tournée è partita il 18 gennaio da Castel Franco (Treviso) e continuerà fino al 28 agosto a Taranto. Molti sold out con un’unica tappa in Germania. Come ti spieghi questo successo?
Beh, insomma, sono 30 anni di lavoro. Non c’è una spiegazione, è una sorta di conseguenza. E’ il risultato di aver seminato sempre…

Cosa ti aspettavi dal pubblico di lingua italiana qui in Germania?
Ero molto curioso. Con gli stereotipi che circolano sui tedeschi, mi venivano tanto cose da pensare sulla Germania. Tra i più famosi, il calzino col sandalo, il cappuccino dopo pranzo. Insomma, alcune usanze che poi si sono rivelate non prevalenti. Gli italiani? Mi ha fatto molto piacere vedere che continuano ad amare ridere, ridere!

Il tuo spettacolo “non vedo, non sento e straparlo”. Perché questo titolo?
Molte persone straparlano senza conoscere l’argomento. È lo sport nazionale. Pontificare su tutto senza avere nessun tipo di competenza. Questo è quello che succede da sempre. Al bar ma anche con le partite di calcio. E’ un malcostume diffuso. Devo dire che in Germania è un po’ diverso, da questo punto di vista.

Il tuo rapporto con i Social. Anche lì ci sono le famose “tue” tre scimmiette?
Una delle tre fa il contrario di quella che si mette le mani davanti alla bocca. Rappresentano un po’ il mondo, cioè persone che si rifiutano di ascoltare. Si rifiutano di vedere, però quando si tratta di parlare salgono in cattedra, la voglia irrefrenabile di poter avere un momento di attenzione e di gloria sui social. Invece io sono molto attento nel cercare di individuare quale tipo di linguaggio usare. Ogni piattaforma, ogni format, ha il suo linguaggio, quindi parlare al bar ha un senso, mentre parlare in una scuola ne ha un altro. E parlare sui social ha un altro senso ancora. Un nuovo format che da qualche anno accompagna la vita di tutti. Occhio, però, è anche pieno di fake news. Quindi devi iniziare anche a saper tradurre gli elementi che girano sui social. Noi in Italia abbiamo il 47% di analfabeti funzionali. Non conosco la percentuale in Germania. E’ preoccupante vedere persone che sanno leggere e sanno scrivere, ma quando leggono non capiscono cosa hanno letto.

In questo spettacolo ci sono anche dei tuoi cavalli di battaglia?
Sì, questo di solito lo faccio sempre a fine spettacolo per dare un senso di Amarcord alle cose che facevo in televisione. Lo stesso faccio con i miei modelli di riferimento. Quando ero giovane andavo a vedere Giorgio Gaber con i suoi repertori. Penso a “Barbera e champagne”…

Dopo 30 anni di esperienza, hai un sogno nel cassetto che vorresti realizzare?
In realtà di sogni c’è ne sono tantissimi.  Ogni anno scrivo uno spettacolo nuovo e lo metto in scena, poi cerco sempre di scriverne un altro, senza rimpiangere il vecchio. Faccio in modo che tutte le volte che mi rapporto con la scrittura provo a far rinascere lo stesso giovane artista che voleva fare questo mestiere, nonostante tutto e un po’ contro tutti. Voglio metterci lo stesso impegno per una cosa nuova che farò. Quindi sempre con la stessa energia.

Da dove nasce il nome d’arte “Dado”?
Sul manifesto Gabriele Pellegrini verrebbe male e lungo. Quindi a livello proprio di marketing spicciolo non avrebbe potuto funzionare. Poi Gabriele Pellegrini è il nome da chierichetto, il nome da piccolo borghese quale sono e quale ero e probabilmente sarò ancora. È un nome d’arte, insomma, anche abbastanza semplice da ricordare, un po’ come il dado da gioco del casinò, con le sue facce.  

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