Soltanto 13 i sopravvissuti. La tragedia avvenne per un incendio causato da un corto circuito: un montacarichi urtò contro una trave d’acciaio, tranciando un cavo dell’alta tensione, una conduttura dell’olio e un tubo dell’aria compressa.
Il disastro di Marcinelle è il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all’estero, dopo quelli degli Stati Uniti: a Monongah (Virginia) e a Dawson (Nuovo Messico). A Monongah i morti furono 362 e gli italiani che persero la vita 171, mentre a Dawson le vittime furono 263, tra cui 146 italiani.
Dal dopoguerra fino alla metà degli anni ’50 più di 140mila italiani andarono a lavorare in miniera, in Belgio. L’Italia infatti, con il Belgio, aveva fatto un accordo: lavoratori in cambio di carbone a basso costo: 200 chili di carbone al giorno, per ogni minatore.
In Italia intere zone erano ridotte in miseria, l’economia era in ginocchio, il Belgio invece aveva bisogno di manodopera. Il Belgio chiedeva italiani di buona salute e di massimo 35 anni. Partirono uomini, con donne, figli, genitori al seguito. In Belgio, gli italiani non erano visti di buon occhio, perché accettarono lavori pagati male e poco sicuri.
I minatori italiani vivevano in cantine, baracche, ex campi di prigionia. I bagni e le fontane per l’acqua erano all’esterno e in comune. Ci sono diversi saggi che raccontano dei minatori in Belgio. Una storia che deve far riflettere. Oggi il sito di Bois du Cazier, ormai dismesso, è patrimonio dell’Unesco.