La Magna Charta, l’origine della democrazia!

churchillWinston Churchill: “Un sistema di freni e contrappesi che accordasse alla monarchia la forza necessaria, ma ne impedisse ad un tiranno la distorsione”.

La prima determinazione filologica del concetto “democrazia” risale all’antica Grecia, il cui etimo è la risultante di due elementi; “demos” (popolo) e “kratos” (potere); locuzione coniata nel IV secolo a.C. dal filosofo Platone nella sua opera Politéia, in cui il suo unico e grande maestro Socrate assurgeva a protagonista nella disputa dialettica del dialogo.
Tale titolo della maggior opera politica del filosofo dell’antica Grecia, conformemente ad una traduzione più rispondente all’intenzione dell’autore, recepirebbe l’accezione di “Repubblica”.
Il letterato romano Cicerone, per maggior coerenza linguistica nella sua interpretazione, di matrice culturale latina, ha ritenuto opportuno assegnare a tale vocabolo una connotazione prevalentemente giuridica con la denominazione “Costituzione”.

L’EVOLUZIONE STORICA DELLA MAGNA CHARTA
Le due ipotesi interpretative summenzionate costituiscono peculiarità strutturali per l’evoluzione storica della Magna Charta, un primordio di democrazia nella cultura dell’umanità.
In una passeggiata romantica, attraverso i folti boschi che costeggiano il tacito deflusso delle limpide acque del fiume Tamigi fluente lungo il cromaticamente splendido territorio del “garden of England”, la contea del Surrey, un melodioso coronamento del pittoresco paesaggio dell’Inghilterra meridionale, alla cui periferia il viandante inaspettatamente, attraversando con effetto mozzafiato un perennemente verde prato, s’imbatte in un monumento storico nei pressi di Runnymede.
Un’iscrizione impressa sul lato frontale del monumento evoca un evento del XIII secolo in cui il re d’Inghilterra John Lackland il 5 maggio del 1215 incontrò i nobili oppositori, potenti proprietari terrieri, i quali contestando le prepotenze del sovrano, esigevano che il re accettasse le loro istanze a garanzia di alcuni diritti fondamentali a vantaggio della baronia inglese.

LE CONCESSIONI DEL RE AI NOBILI E AL CLERO
Su insistente massiccia pressione dell’intera nobiltà, in piena sintonia con la casta clericale britannica, costretto a cedere all’impeto dell’avversa offensiva, appose infine il suo suggello sul redatto documento del pattuito concordato politico.
Le concessioni del re ai nobili ed al clero vennero denominate “libertates” da cui il titolo dell’accordo siglato che recita: “Magna Charta Libertatum”, che nel corso dei secoli divenne un rilevante punto di riferimento storico per l’ulteriore evoluzione “democratica-giuridica” della Gran Bretagna.
John Lackland, ancor prima di subentrare al trono d’Inghilterra dopo la morte del padre Riccardo Cuor di Leone nel 1199, aveva perso tutti i suoi possedimenti nel Nord della Francia, per tale motivo la denominazione “Giovanni Senzaterra”.
Il giovane sovrano britannico, immediatamente dopo la sua ascesa al trono, dichiarò guerra alla Francia nel tentativo di riconquistare le sue perdute proprietà.
L’estenuante conflitto armato, per la sua imprevista lunga durata, fece esaurire le riserve monetarie ed auree del regno, motivo che costrinse il sovrano ad imporre ai suoi sudditi baroni una pesante tassazione denominata “scutagium”, raffigurante l’importo necessario per equipaggiare e mantenere i soldati; un impegno che i nobili vassalli feudatari dovevamo tributare al sovrano.
In caso d’impossibilità di ottemperare a tale disposizione i subalterni dovevano pagare lo “scutagium” in moneta sonante.

LA SCONFITTA DI GIOVANNI SENZATERRA
L’esito negativo della missione militare inglese in territorio francese determinò un’umiliante sconfitta per Giovanni Senzaterra nel 1214 a Bouvines nella Francia settentrionale; un infausto evento che determinò il malcontento del baronato feudale in patria, elemento potante di controversia concretizzatasi in una ricusazione dell’autorità del sovrano non avendo i baroni rinnovato il giuramento di fedeltà al re, criticato per irresponsabilità, prepotenza, falsità, crudeltà ed arbitrio.
Ben presto la sfiducia di John Lackland verso la Magna Charta affiorò al punto tale che il medesimo indusse il papa ad emanare una bolla per l’annullamento dell’accordo di Runnymede. Codesta iniziativa del re divenne la causa di una veemente contesa tra monarchia e nobiltà inglese. L’anno seguente John Lackland morì e il successore suo figlio Enrico II, sia per opposizione dei ribelli quanto per consiglio dei suoi sostenitori, reiterò la Magna Charta.
Durante il regno di Enrico II il patto venne modificato diverse volte da divenire un valido strumento per l’eliminazione della tirannide dei sovrani.
Edoardo I, successore di Enrico II secondo, rielaborando la Magna Charta per l’ennesima volta, la confermò definitivamente iscrivendola nel 1297 agli atti ufficiali del regno, tale registrazione automaticamente attribuiva all’accordo di Runnymede lo status giuridico di legge di stato.

LA FASE INVOLUTIVA DEL REGNO DI CARLO I
La nuova disposizione di legge, sminuendo con incisività i poteri del monarca, vincolava il sovrano, come i suoi sudditi, al rispetto delle norme contemplate nella Magna Charta.
Ma a quel tempo il documento di Runnymede, enfatizzando giuridicamente i diritti dei “free men” ovvero dell’aristocrazia, ne beneficiavano unicamente il clero e nobiltà, un esiguo numero di privilegiati, con esclusione degli umili sudditi che demograficamente rappresentavano una consistente maggioranza.
La Magna Charta subiva una fase involutiva durante il regno di Carlo I (1625-1649) il quale, imponendo una politica assolutistica della corona, cagionò un inasprimento del preesistente contenzioso con il Parlamento.
Intanto i parlamentari rivendicando maggior indipendenza dalla corona, inoltravano al sovrano una nuova richiesta dal titolo “Petition of Right” che, concedendo al parlamento la totale competenza fiscale, consentiva a tale istituzione una crescente autonomia dalla corona.
II sovrano nel 1628, con ingannevole consapevolezza di poterla revocare in qualsiasi momento, appagò la petizione del parlamento.

L’INSURREZION CIVILE GUIDATA DA OLIBER CROMWELL
Nel 1642 il sovrano inglese, con l’abolizione del trattato politico e col rifiuto di esaudire una nuova richiesta dei rivoltosi, consistente nel diritto dei parlamentari di convocare periodicamente le rispettive alte Camere dei Comuni e dei Lord di Westminster “Houses of Parliament”, provocò l’insurrezione civile capitanata dal rivoluzionario Oliver Cromwell.
Nell’aspra contesa tra i “royalisti”, cavalieri fedeli al re, e i “parlamentaristi”, le teste rotonde capeggiati da Oliver Cromwell, il re venne arrestato, processato e per la sua politica religiosa, più incline e indulgente verso la Chiesa cattolica a detrimento della Chiesa Anglicana, peculiare fenomeno dell’insularità britannica, imputato di alto tradimento e conseguentemente condannato alla pena capitale.
Il 30 gennaio del 1649, al termine della violenta contesa civile col trionfo dei ribelli, conclusasi tragicamente nel sangue con la decapitazione del sovrano Carlo I di Stuart, la monarchia venne abolita ed istituita la repubblica.
Il rivoluzionario Oliver Cromwel, ignorando totalmente l’esistenza della Magna Charta, gestì la repubblica dispoticamente fino alla sua morte 1658, periodo in cui il dittatore, dopo aver sedato la rivolta scozzese e irlandese, annesse alla Gran Bretagna i rispettivi territori dell’Irlanda e della Scozia.

IL RESTAURO DELLA MONARCHIA
L’inaspettato decesso di Oliver Cromwell per malaria causò nel 1658 una grave crisi per la repubblica inglese che favorì il restauro della monarchia con l’insediamento al trono reale di Carlo II di Stuart, figlio del decapitato sovrano.
Il diritto fondamentale “Habeas Corpus ad subjiciendum” (abbi il tuo corpo da presentarlo in giudizio con un tuo diritto alla difesa), risalente alle “Questiones” (giurie) di diritto romano, contemplando una garanzia legale per la libertà personale dei baroni, costituiva una conquista giuridicamente importante per la nobiltà inglese, motivo per cui tale principio giuridico di base venne menzionato sulla Magna Charta nel 1215, al momento della sua prima edizione a Runnymede.
A seguito delle violente esperienze politiche della prima rivoluzione inglese e dittatura cromwelliana i parlamentari, acquisendo una profonda coscienza istituzionale, costrinsero il nuovo re Guglielmo III d’Inghilterra a sottoscrivere nel1689 il “Bill of Rights” (la dichiarazione dei diritti) con l’inserimento definitivo del principio giuridico “Habeas Corpus” nella Magna Charta; uno storico evento che affermando la sovranità e l’autonomia del Parlamento segna la fine della monarchia feudale.
Il “Bill of Rights” ascrivendo alla Magna Charta Libertatum un’autentica identità giuridica funge dal 1689 da virtuale costituzione per l’intera nazione.

UN MODELLO PER L’EUROPA OCCIDENTALE
Il forte vigore democratico del documento annulla definitivamente l’autorità politica del re per essere demandata per intero al Parlamento.
Pur non disponendo il Regno Unito di una costituzione scritta l’attività parlamentare britannica da numerosi secoli ascrive alla Magna Charta, la precipua funzione di legge fondamentale, offrendo un’efficace modello esemplare a tutte le democrazie dell’Europa occidentali e statunitense.
Lo statista di ferro Winston Churcill, che abilmente durante la seconda guerra mondiale condusse il Regno Unito alla vittoria, in una sua saggia valutazione storica della Magna Charta nel 1946, al termine della contesa armata, esaltava il documento storico con la seguente affermazione: “Un sistema di freni e contrappesi che accordasse alla monarchia la forza necessaria, ma ne impedisse ad un tiranno la distorsione”.

I DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UOMO
Il corpus legislativo inglese, contenuto nella Magna Charta, per la sua valenza universale di filosofia giuridica, ha ispirato la concezione dei diritti fondamentali dell’uomo, nucleo portante della costituzione americana nella sua stesura finale del 1787, alla quale l’originale “Bill of Rights”, costituendone un vincolo culturale inalienabile, è stato allegato.
Il medesimo documento britannico è stato un influente punto di riferimento per la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la cui suprema massima mensionata nell’articolo 9 come di seguito recita:
“Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato”.