Intervista a Ricciardi: il nuovo segretario del Pd Svizzera

toni ricciardiIntervista con Toni Ricciardi, il nuovo Segretario del Partito democratico in Svizzera.

Storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra. Codirettore della collana «Gegenwart und Geschichte – Présent et Histoire» (Seismo), è tra i coautori del Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, del primo Dizionario enciclopedico delle migrazioni italiane nel mondo (Ser, 2014) e membro del comitato editoriale di «Studi Emigrazione». Ha scritto, tra l’altro, Associazionismo ed emigrazione. Storia delle Colonie Libere e degli Italiani in Svizzera (Laterza, 2013) e L’imperialismo europeo (Corriere della Sera, 2016). Per i tipi di Donzelli ha pubblicato Morire a Mattmark. L’ultima tragedia dell’emigrazione italiana (2015, Premio «La valigia di cartone 2015») e Marcinelle, 1956. Quando la vita valeva meno del carbone (2016). L’ultimo lavoro è «Breve storia dell’emigrazione italiana in Svizzera. Dall’esodo di massa alle nuove mobilità» (2018).

 “Lo storico è solo, il segretario in un collettivo”

Lei, storico e docente universitario a Ginevra, è stato appena eletto segretario del Pd in Svizzera. È un ruolo che si adatta ad un intellettuale?
Intanto non sono un intellettuale, nel senso che viene assegnato a questo termine. Gli intellettuali sono persone che hanno proposte e idee per cambiare il mondo. Io sono un umile e semplice storico. Certo, sono una persona che ogni tanto si sforza di pensare, ma non un intellettuale nel senso lato del termine. Se la sua domanda riguarda la possibilità di coniugare o conciliare questi due aspetti, le rispondo certamente sì. E ciò nella misura in cui vengono interpretati come devono, hanno alla base l’onestà intellettuale e soprattutto la libertà di pensiero. Non sei uno storico credibile se non sei onesto intellettualmente e soprattutto libero da condizionamenti. Parimenti, non sei un buon segretario se non sei libero. Per il resto, sono due percorsi totalmente diversi. Quando fai lo storico, ricerchi documenti e racconti, ma lo fai con la tua visione del mondo, della storia, cercando il più possibile di essere oggettivo. Perché come in tutte le azioni umane non esiste la neutralità, ma prese di posizione figlie della tua formazione e del tuo percorso biografico che debbono però essere avvalorate dai parametri dell’oggettività storica, riconosciuta dalla comunità scientifica del tuo ambito tematico. Quando fai il segretario, invece, devi avere la capacità di ascolto e di saper rispettare e tenere in considerazione le visioni del mondo diverse dalle tue. Detto diversamente: da storico ragioni da solo, da segretario come collettivo.

“La fuga dei cervelli non è mai esistita”

Come è cambiata l’emigrazione italiana in Europa?
Intanto è cambiata l’Italia. Negli anni 1950 si partiva da un paese che aveva una struttura demografica come quella della Tunisia o della Turchia di oggi, mentre oggi si parte dal secondo paese più anziano del mondo. Ciò cambia di molto la prospettiva d’analisi. Poi, dal punto di vista della formazione individuale si registra un indubbio innalzamento qualitativo. Ci sono molti più laureati e diplomati che partono rispetto al passato. Tuttavia, oltre il 60% delle persone che parte dall’Italia non sono cervelli – cosa nella quale non ho mai creduto – bensì persone che non hanno nemmeno raggiunto la laurea. Questo a significare che la mistificazione della fuga dei cervelli non è mai esistita. D’altronde basta una laurea per essere un cervello? È più formato un laureato oggi di un diplomato del 1950? Francamente non credo. Detto questo, a essere realmente cambiata è la modalità della nuova migrazione. Prima l’ossessione della temporaneità, il fatto di voler rientrare dopo 5, 10 o 15 anni era una costante testimoniata dalla mole di investimenti, a volte improduttivi, che molti facevano nel paese di provenienza. Improduttivi perché, molte persone dopo 15-20 anni hanno scoperto di non voler più ripartire, oppure, cosa molto frequente, vivono un po’ in Italia un po’ con i figli o nipoti che sono rimasti nei paesi nei quali sono nati. Per il resto, è cambiato poco. Certo la libera circolazione, almeno nello spazio Schengen, aiuta, tuttavia le modalità sono le stesse. Si circola molto di più, a costi ben più ridotti, si viaggia molto meglio e a velocità impensabili solo qualche decennio fa, in cerca di condizioni di vita migliori. Si arriva in un paese con la libera circolazione, si può restare senza grossi problemi per 3 o più mesi. Si cerca un lavoro e una volta trovato si regolarizza la propria posizione. Niente di diverso rispetto al passato. Anche le condizioni di partenze non sono cambiate. Nel 1950 molti partivano, non perché non lavorassero, ma perché non avevano un salario giusto e adeguato. Oggi accade lo stesso. La generazione che prima era 1000 euro, oggi si è ridotta a generazione 500 euro. Si tratta di una condizione che ti spinge a trovare qualcosa altrove. In conclusione, ciò che però è cambiato in profondità è il fatto che oggi avvertiamo la predisposizione ad una mobilità multipla (fatta di più luoghi). I luoghi di partenza e di arrivo si vivono diversamente, senza avere più la voglia di ritornare, come in passato, al paese natio.

“La sinistra deve cambiare”

Non sembra un buon momento per il suo partito. Come spiega la crisi del Partito democratico?
Non è un buon momento per la politica, non solo in Italia, e più in generale per la democrazia rappresentativa. La crisi delle forme della rappresentanza ha colpito tutti, nessuno escluso. Quando questo accade, perché è già accaduto in altre fasi della storia, qualcuno immagina di propinare ricette facili per problemi complessi. Immagina che le forme della rappresenta siano inutili e dannose, proponendo di sostituirle con forme di gestione della cosa pubblica autoritarie e personali. A questo aggiungiamo che è il mondo ad essere cambiato.  La rivoluzione della comunicazione ha modificato il mondo ad una velocità e con modalità più sconvolgenti della rivoluzione industriale di qualche secolo fa. Ormai viviamo in una società del tutto emozionale e della conoscenza, come la definisco io, dello zucchero a velo. Siamo bombardati da un flusso di informazioni senza precedenti che non ci spingono più alla profondità d’analisi. Parliamo di spread o di qualsiasi problema come se fossimo tutti economisti, senza capire di economia. Alla lunga questo produce società che non trovano risposte adeguate, o che soddisfino i propri istinti, nelle forme della rappresentanza tradizionale otto-novecentesca. All’interno di questo contesto, la crisi del mio partito è dovuta all’insieme di queste concause alle quali  va aggiunta l’incapacità di selezionare la classe dirigente. Ciò ha prodotto incapacità comunicativa. Se non hai idea di come vive la gente normale, non sei in grado di spiegare ciò che hai fatto per la stessa gente. Faccio due esempi. Il primo: Rei è partito in tutto il territorio nazionale, eppure le persone che ne usufruiscono pensano si tratti del reddito di cittadinanza che ancora non c’è e non si sa se mai ci sarà. Il secondo: dagli anni 1980 non veniva fatta un’immissione di persone nel settore pubblico. Oltre 50mila assunzioni nella scuola non hanno prodotto i risultati sperati. Perché? Perché quando fai politica o politiche anche giuste, ma il processo decisionale non viene condiviso, rischi di produrre controreazioni devastanti. Un ultimo aspetto è legato alla non comprensione di cosa siamo. Un partito riformista è tale nella misura in cui propende verso un cambiamento migliorativo costante delle condizioni esistenti. Quando si pone sulla linea della conservazione perde. Prenda la questione dei migranti. Se non costruisci una contro narrazione forte e chiara sul tema, se non hai il coraggio di dire che la migrazione è ricchezza, ma ti limiti a cavalcare le paure di turno, l’originale è sempre meglio. Ed infine, la nostra sbagliata discussione sul nostro essere. Nella sinistra e nel centrosinistra è ricorrente una domanda: qual è la nostra identità. È una delle tante domande sbagliate che ci siamo posti e che continuiamo a porci. Nel senso che, se siamo per un cambiamento costante, non possiamo abbracciare identità statiche, fisse, immodificabili. Perché se è cambiato il mondo, il mondo del lavoro, della socialità, occorre cambiare noi stessi, se immaginiamo di volerne rappresentare almeno una parte.

“Al congresso fare scelte largamente condivise”

 E lei come si colloca… tra le varie correnti?
Non mi colloco perché vengo da una scuola che vede nelle correnti un arricchimento delle comunità, non la mera spartizione di fette di potere. Poi se mi chiede come mi colloco in vista del prossimo congresso nazionale, lo saprò il giorno in cui sapremo i candidati in campo e soprattutto che visione del partito e della società hanno. Una cosa è certa, però: la priorità sempre e comunque verrà data alla mia comunità, quella che provvisoriamente rappresento come segretario, le italiane e gli italiani in Svizzera. Ho assistito molte volte al prevalere degli interessi personali, di corrente, rispetto alla collettività che si rappresenta, e questo spero di riuscire a non farlo accadere più. E poi, mi lasci aggiungere, la scelta dovrà essere fatta nella maniera più larga e condivisa possibile in Svizzera e con gli amici e colleghi delle altre federazioni in Europa. Se vogliamo avere voce nell’ambito del partito nazionale, occorre ragionare così. Almeno secondo me.

“Dobbiamo rispondere a tante domande”

Quali sono i temi politici attorno ai quali pensa di rilanciare l’azione del Pd in Svizzera?
La quotidianità è il punto centrale di tutta l’azione. Dobbiamo ritornare tra la gente, ascoltarla, capire perché non ci riconosce più o perché immagina che non siamo più in grado di rappresentarli adeguatamente. Siamo stati per decenni il partito di riferimento in Svizzera come in Europa. Ora non lo siamo più, nonostante i risultati elettorali. Quindi dobbiamo porci delle domande. E poi, come già annunciato durante il congresso, ho intenzione di creare momenti di discussione a approfondimento coinvolgendo, in questo caso sì, intellettuali, pensatori, gestori delle quotidianità che sono al di fuori del partito. Chi siamo? In che mondo viviamo? Cose serve alle nostre comunità e come concretizziamo le richieste? Queste sono le domande, più che le risposte, che ci porremo nei prossimi mesi. Trovare le risposte sarà la lunga traversata nel deserto che ci attende. E, quindi, una conferenza programmatica che coinvolga dirigenti, militanti, simpatizzanti e tutti quelli che vivono al di fuori di noi, istituire una consulta delle associazioni e del terzo settore. Questo mondo vive la quotidianità con la gente, meno del passato, in forme a volte da rivedere, ma la vive. Ascoltarle e collaborare con loro può essere utile. Infine, una consulta degli eletti a tutti i livelli all’interno delle istituzioni in Svizzera. Quando parlo di tutti, non mi riferisco solo a coloro che militano nel Pd, ma soprattutto a coloro che si riconoscono nel grande mondo del centrosinistra e che forse, credo, hanno qualcosa da poterci raccontare. E poi tante altre idee che esporrò sabato 17 novembre, giorno della prima direzione nazionale del partito, che si terrà a Zurigo, durante la quale ufficializzerò la nuova segreteria nazionale.

“Il nostro contributo alle elezioni europee del 2019”

E il Pd svizzero ci sarà alle elezioni europee del 2019?
Certamente darà il suo contributo. Forme e modalità le decideremo insieme. Occorrerà vedere se ci sarà una modifica legislativa che consentirà agli italiani in Svizzera o nel Regno Unito di votare in loco. Comunque sia, ci saremo dando tutto il contributo possibile ai candidati delle varie circoscrizioni italiane. Poi, se qualcuno avrà la voglia di avanzare una candidatura dalla Svizzera,  ne discuteremo e sono convinto che avrà il sostegno di tutto il Pd in Svizzera.