Il cantautore infermiere Giovanni Usai si racconta

L'artista sardo, ma di adozione bolognese, realizza "Paese di burro" in piena epoca Covid, chiuso in casa in quarantena, positivo a questa malattia e vuole sottolineare l'impotenza sua e della gente nell'affrontare un nemico inaspettato, che scioglie come burro le nostre certezze e vede sgretolarsi tutto ciò che è intorno.

La speranza in chi si è saputo fermare, la saggezza dei bambini sono il motore della rinascita. La voglia di vivere, la guerra tra Thanatos ed Eros sono gli ingredienti di questa canzone. Link video “Paese di burro”.

Cosa rappresenta per te la musica? Come e quando ti ci sei avvicinato?
La musica è una psicoterapia, un canale di comunicazione atto ad esorcizzare emozioni difficilmente comunicabili… dolori e gioie difficilmente trasmissibili, ma anche relax… euforia… cazzeggio. Da bambino… con Ivano Fossati e Michael Jackson: ascoltavo sempre una cover de “la mia banda suona il rock”… che andava in quegli anni al Festivalbar… quando gli ho preferito l’originale di Fossati, mio padre mi disse “BRAAAAVOOOO”… è stato ironicamente segnante. 

Nel tuo nuovo progetto cosa vuoi comunicare al pubblico?
Presenza. Di essere presenti nella vita reale, consapevoli che stiamo vivendo un casino… di non fare finta di niente e contemporaneamente di non smettere di vivere la vita reale. 

Quali sono le tue 3 canzoni preferite, all time, del Festival di Sanremo?
Ti lascerò: Oxa e Leali;  Perdere l’amore: Ranieri; Angelo: Renga 

Come si potrebbe rilanciare il mercato discografico della musica?
Facendola pagare di nuovo gli addetti ai lavori non campano di aria.. e la musica liquida non sta facendo bene… si spende come nel 1999 ma si guadagna come nel 2021. 

Quale sarebbe per te il più grande successo?
Io sono un innamorato del Festival di Sanremo.. Dunque…quello è il sogno.. ma ultimamente la mia paese di burro sta facendo bellissime cose. Vorrei vedere mia madre piangere e dirmi “ce l’hai fatta”… anche solo per una canzone… tutto qui…

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