Fcli: “Il voto è la nostra àncora. Giusto votare 5 SÌ”

La Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, sin dal principio, è entrata a far parte attivamente del Comitato svizzero per il Sì ai Referendum. Le politiche del lavoro e la cittadinanza sono i temi degli italiani all’estero. Intervista con Giangi Cretti, esecutivo FCLIS.

La Federazione delle Colonie Libere Italiane in Svizzera, sin dal principio, è entrata a far parte attivamente del Comitato svizzero per il Sì ai Referendum, quali sono le motivazioni di questa scelta?
Innanzitutto, perché esercitare il proprio diritto di voto è oggi l’unico modo che ci resta per non soccombere a quel senso di rassegnazione che sembra prevalere e che induce a crogiolarsi sfuggenti nel classico “tanto non cambia nulla”.

Ci troviamo a vivere in un momento storico, in cui l’etica sembra messa in vendita, e in cui assistiamo, impotenti, talvolta con colpevole indifferenza e comunque invischiati in una forma di smarrimento collettivo, a decisioni di governanti che non solo fanno strame dei più elementari diritti umani, ma calpestano, esibendo spudoratamente (e addirittura seducendo con) l’arroganza del potere, quelli che, per lo meno alle nostre latitudini, pensavamo essere i capisaldi di libertà acquisiti, che generazioni prima della nostra avevano conquistato a caro prezzo.

In questo contesto il voto resta (ancora per quanto?) l’unica àncora a cui aggrapparsi per esprimere il proprio pensiero.

E questo a maggior ragione se si considera che il diritto alla protesta e al dissenso, espressi in forma pacifica, sono imbrigliati e depotenziati dai tristemente noti ‘decreti sicurezza’ che in realtà mirano a limitarne la naturale funzione di stimolo al democratico confronto.

In altre parole, votare – in modo particolare in occasione di un referendum che, per sua natura, non produce nessun tipo di effetto se non si raggiunge la partecipazione del 50% + 1 degli aventi diritto – oggi significa non arrendersi, resistere alle forme coercitive che, anziché proposi in un confronto democratico di idee e di argomenti, invitano semplicemente a boicottare il voto.

In tal modo, si cancella non soltanto la ragion d’essere di un referendum, ma lo strumento stesso del voto che, sempre di più – in quei Paesi, dove la democrazia è ancora una forma di governo, e che purtroppo nel mondo sono ancora minoranza – costituisce l’unico modo per dare concretezza al proprio impegno civile, interrogandosi per decidere liberamente da che parte stare. O di qua o di là, lottando per la difesa della democrazia. Convinti che nonostante il pessimismo della ragione, valga la pena tornare ad appellarsi all’ottimismo della volontà. Perché è la volontà che fa la storia, che fa la democrazia. Che è relativamente giovane e riguarda solo una parte del mondo.

Ecco, pertanto, che la motivazione forte, soprattutto in questa occasione – non ignorando gli effetti che una scarsa partecipazione possa avere, in un futuro tutt’altro che remoto, per il destino dell’esercizio di voto degli italiani all’estero – è quella di enfatizzare l’importanza di praticarlo questo esercizio: votando.

Non fosse che, per quanto manipolabile, il voto è un privilegio, di cui godiamo ancora in pochi ed è ciò che discrimina il cittadino dal suddito.

I Referendum richiedono maggiori tutele, maggiore stabilità e maggiore sicurezza sul lavoro e una riduzione tempistica per accedere alla cittadinanza italiana, in che modo secondo voi questi quesiti possono coinvolgere le italiane e italiani all’estero?
Detto dell’importanza di esercitare il proprio diritto di voto, i quesiti sottoposti al parere dei cittadini, per quanto ovviamente connaturati alla realtà italiana, non vi è dubbio che si riverberino su quella degli italiani che risiedono all’estero. I quali, tra l’altro, talvolta ritornano e, avendone avute la possibilità o avendone trovate le condizioni, non sarebbero mai emigrati o, se si preferisce, espatriati.

Non vi è dubbio che il quesito sulla cittadinanza sia quello che più degli altri solleciti la sensibilità di chi l’esperienza dell’emigrazione l’ha vissuta da protagonista e non da spettatore. Pertanto, pur sapendo che così non è, scontato sostenere convintamente la riduzione da 10 a 5 anni i tempi di attesa per poter iniziare la pratica di ottenimento della cittadinanza italiana, votando SÌ.

Gli altri 4 quesiti sono di fatto correlati a dinamiche che regolano il mondo del lavoro italiano. Possono apparire, e in parte sicuramente lo sono, specifici di determinate realtà. Resta il fatto che si riferiscono alla sicurezza, alla tutela e alla dignità del lavoro e dei lavoratori, modificando e correggendo disposizioni che la sicurezza, la tutela e la dignità nei fatti ora la limitano.

Confrontarsi su questi temi è anche un modo per riportare al centro del dibattito le politiche del lavoro. Tutto questo in un contesto in cui il lavoro – ben consapevoli di quanti possano essere i distinguo e senza scomodare la Costituzione – anche quando c’è non garantisce l’accesso ad una vita decorosa.

Con questa prospettiva, votare SÌ anche a questi quesiti è naturale conseguenza.