Depressione, l’altra faccia dell’emigrazione!

trevisanIntervista alla Dr. phil. Amina Trevisan, sociologa e etnologa. Autrice del libro “Depression und Biographie”.  Un lavoro che nasce sulla base della propria esperienza di vita.  Uno studio sul legame biografico della malattia nel contesto della migrazione.  

Il tuo ultimo lavoro „Depression und Biographie“ è frutto di una ricerca sul tema della depressione nel contesto della migrazione. Come sei giunta a questo argomento?
La base per questo lavoro sociologico è senza dubbio il mio vissuto personale nella migrazione, come figlia di lavoratori migranti italiani, insieme alla mia soggettiva esperienza con la depressione. E’ stato per me, dunque, semplice collegare la depressione e le mie esperienze di migrazione agli studi sociologici che stavo portando avanti.
Sono nata nel 1973 e sono cresciuta in Svizzera in un periodo in cui la popolazione migrante italiana veniva denigrata come “Tschinggen” (Cincali, in dialetto svizzero tedesco è un termine dispregiativo per indicare e/o apostrofare un emigrato italiano, legato al gioco della mora ndr) e degradata a gente di seconda classe.
Fin da bambina ho dovuto affrontare ostilità razziali, insulti e discriminazioni. Questo ha plasmato l’immagine che stavo piano piano costruendo di me stessa, contribuendo a formare in me l’idea che io non avessi lo stesso valore, non fossi preziosa, come la maggior parte delle donne e degli uomini della società svizzera. Questi sentimenti di inferiorità hanno accompagnato il mio sviluppo fino all’inizio del mio percorso di psicoterapia. Grazie alla psicoterapia ho imparato ad affrontare i giudizi che davo a me stessa e ciò che essi provocavano in me, mi ha permesso di conoscermi e capirmi meglio, ma anche di percepire in maniera più diretta il dolore provato dagli altri.
Grazie agli studi sociologici ho potuto, infine, posizionare la mia depressione, e anche quella di mia madre, in uno specifico contesto sociale e culturale.
Le esperienze di migrazione e malattia di mia madre sono state, infatti, anch’esse decisive per la scelta dell’argomento della mia ricerca. A metà degli anni ’70, mia madre con tre bambini, si ammalò di depressione a causa di problemi finanziari acuiti dalla mancanza di sostegno sociale. Per trentasette anni insieme alla mia famiglia ho vissuto in alloggi scoiali ad Allschwil, quest’altro aspetto ha senz’altro influito sulla costruzione tanto della mia personalità quanto delle mie analisi sociologiche successive.
Gli alloggi popolari erano di fatto popolati dalla comunità migrante, da tante donne migranti, questo mi ha permesso sin da giovane di entrare in contatto sia con i problemi legati alla migrazione che alle esperienze di depressione delle donne migranti esperite già in tenera età.
Infine, la mia esperienza professionale nell’assistenza e nell’accompagnamento dei migranti, nonché il mio impegno sociale nella migrazione, hanno giocato un ruolo rilevante per la selezione dell’argomento.

Il tuo lavoro di ricerca è dedicato al legame tra depressione ed esperienza migratoria nelle donne migranti in Svizzera, l’intersezionalità, dunque, tra la linea di genere e quella di razza nel contesto migratorio svizzero. Qual è stato il punto di partenza per la tua ricerca?
Il secondo studio di monitoraggio sanitario della popolazione migrante in Svizzera „Gesundheitsmonitoring der Migrationsbevölkerung“ – GMM II – pubblicato dall’Ufficio Federale della Sanità Pubblica nel Settembre del 2011, mostra chiaramente una incidenza maggiore della depressione nella popolazione migrante rispetto al gruppo di riferimento svizzero. Inoltre, da quello studio emerge anche una linea di genere piuttosto marcata: le donne migranti sono più spesso soggette alla depressione rispetto agli uomini, e l’intersezionalità significativa con la linea di razza: sono maggiormente le donne migranti a soffrire di depressione rispetto alle donne svizzere.
Sebbene già molti studi abbiano dimostrato che le donne migranti in Svizzera hanno uno stato di salute mentale più precario rispetto agli uomini migranti e alla stessa popolazione svizzera, non esisteva ancora alcuna ricerca nell’ambito delle scienze sociali focalizzata sulle esperienze delle donne migranti – che soffrono di depressione – da un punto di vista soggettivo, ovvero dallo specifico posizionamento e dalla voce delle donne stesse. Con la mia ricerca sul campo ho tentato di colmare questo vuoto.  

Nella tua ricerca ti concentri sul legame depressione-esperienza di migrazione nelle donne migranti dell’America Latina, puoi dirci di piu` rispetto a questa specifica scelta?
I miei interessi di ricerca si concentrano sul portato biografico della depressione nel contesto dell’esperienza di migrazione, sulle cause strutturali dell’esperienza di sofferenza e infine sull’esperienza soggettiva della malattia nella vita delle donne migranti dell’America Latina.
Mi sono, dunque, interessata dapprima ad un’analisi teorica delle cause e delle condizioni che hanno innescato la depressione nella vita delle donne scelte, per poi concentrarmi sull’emersione della loro situazione esistenziale, delle esperienze soggettive avute con la malattia, dei percorsi di cura e guarigione condotti nel contesto della migrazione. 

Quale la domanda di fondo su cui si basa la tua ricerca?
La questione centrale dello studio è indagare il significato e il legame biografico della malattia, nel contesto della migrazione e della storia di vita complessiva delle donne migranti dell’America Latina che hanno sviluppato una depressione.
Nel tentativo di definire i contorni del problema, ho quindi individuato delle sotto-domande: ero interessata, in sintesi, alle origini e spiegazioni teoriche della malattia depressiva, alle strategie di elaborazione per affrontarla, ai metodi di guarigione e trattamento, e alle risorse e strumenti su cui le donne scelte potevano fare affidamento.
L’obiettivo principale della ricerca è stato quello di avvalersi di uno studio biografico – partendo dalla voce stessa delle migranti – per acquisire nuove e approfondite conoscenze circa l‘intreccio migrazione-depressione e genere in un gruppo di popolazione che fino ad ora non ha ricevuto l’interesse delle discipline antro-sociologiche. Si è trattato, anche, di mostrare cosa significhi essere un migrante in Svizzera, al fine di creare una più profonda comprensione della vita e della sofferenza delle donne migranti. Nel corso della ricerca, ho condotto interviste, in spagnolo e in tedesco, a 17 donne emigrate dall’America Latina.

Quali i criteri che hai seguito nella scelta delle donne migranti su cui basare la tua inchiesta e perchè proprio migranti provenienti dall’America Latina?
I criteri di selezione che ho seguito per le mie interviste sono stati diversi:donne migranti di prima generazione provenienti dall’America Latina, con una depressione diagnosticata (nel passato o nel presente); donne sia poco qualificate che altamente qualificate, in possesso di un regolare permesso di soggiorno e residenti nella Svizzera tedesca.
Ho scelto le donne migranti dell’America Latina perché su di esse non c’è quasi nessuna ricerca nel campo della migrazione e della salute in Svizzera. La ragione, invece, della scelta di restringere il campo alla Svizzera tedesca è stata dettata dalle barriere linguistiche che per le donne latinoamericane sono maggiori che nella Svizzera francese e italiana.

Quali sono stati i risultati della tua ricerca, a quali questioni aperte sei giunta?
Un risultato centrale di questo lavoro è stato senz’altro che le esperienze di depressione analizzate sono state inquadrate ed esaminate sulla base di cinque aree tematiche biografiche: razzismo e discriminazione razziale; esclusione professionale; povertà e preoccupazioni economico-finanziarie; mancanza di sostegno e welfare sociale; disuguaglianze di genere e relazioni di potere all’interno dei matrimoni binazionali. Questi fattori sono emersi come dimensioni analitiche centrali per le condizioni sociali di emersione della depressione.
Un altro aspetto centrale emerso dalla ricerca è che la depressione nelle donne migranti non è da considerarsi un aspetto soggettivo-individuale ma parte e prodotto di in un contesto sociale. Il giudizio delle persone colpite ha mostrato che molte donne migranti percepivano la depressione come un fallimento personale, incolpandosene. Pertanto, non hanno associato la malattia mentale ai problemi strutturali, ma l’hanno collegata a mancanze e dificit a livello individuale. La migrazione non è di per sé il fattore scatenante della depressione, ma piuttosto a scatenare la malattia per le donne dell’America Latina sono l’accumulo di esperienze negative nel contesto dell’esperienza migratoria, delle condizioni sociali e delle situazioni di vita stressanti e spesso frustranti vissute nel Paese ospitante. Inoltre, la disparità di trattamento e le persistenti disuguaglianze sociali, così come la sensazione di non accettazione e appartenenza, contribuiscono in modo significativo a far entrare le donne migranti in situazioni di stress cronico.

Ritornando, invece, alle cinque macroaree tematiche che ci accennavi poc’anzi e con le quali hai intrecciato le biografie e interviste di queste donne, quali i dati di maggiore interesse e novità hai raccolto?
Sì, vorrei iniziare con il tema specifico della migrazione, del razzismo e della discriminazione razziale. Il razzismo è un’esperienza biografica, presente e discussa in tutte le 17 donne migranti intervistate. Rispetto all’esperienza e al significato soggettivo e biografico del razzismo, la mia ricerca ha dimostrato che sperimentare il razzismo soggettivamente non significa solo fare un’esperienza personalmente dolorosa, ma documenta anche la sofferenza sociale del contesto. Il razzismo non è un fenomeno eccezionale, ma costante e strutturale della vita quotidiana delle donne migranti intervistate. A questo si aggiungono le attribuzioni esterne, sessualizzanti ed esotizzanti. Il razzismo è vissuto non solo a livello sociale, ma anche a livello di relazione, risulta associato a sentimenti di umiliazione, frustrazione e vergogna. Il sentirsi screditata, rifiutata e respinta come persona ha un impatto negativo sulla percezione di sé.
Un altro risultato rilevante dello studio è che affrontare gli aspetti emotivi delle esperienze di razzismo è essenziale per le persone colpite al fine di comprendere il legame della depressione al proprio vissuto nella migrazione. Il razzismo, dunque, non deve essere ignorato o sottovalutato come fattore di rischio per la salute mentale.

Dopo averci illustrato i diversi fattori che contribuiscono all’emersione di una patologia depressiva in un contesto di migrazione, hai avuto modo di constatare anche le strategie di cura a cui le donne intervistate hanno fatto ricorso per affrontare la depressione e eventualmente quali i percorsi intrapresi per la guarigione?
Uno dei risultati emersi nell’ambito della cura è che le donne migranti intervistate differivano notevolmente in termini di ricerca di aiuto. Mentre alcune donne hanno cercato aiuto medico e psicologico in professionisti, altre non sapevano neppure dove cercare questo tipo di supporto. Alcune abbandonarono la psicoterapia per ricorrere all’autotrattamento. Altre ancora non hanno cercato cure psichiatriche o psicoterapeutiche a causa dello stigma legato alla depressione, alla paura, alla vergogna, all’ignoranza e alla loro situazione finanziaria o al pregiudizio verso le istituzioni professionali. 

Infine, qauli le tue considerazioni finali su questo lavoro di ricerca in cui tanti sono gli elementi stimolanti emersi?
I risultati di questa ricerca chiariscono che il significato biografico/esistenziale della depressione è costituito dalle esperienze e dalle condizioni di migrazione, dalla coincidenza di eventi di vita stressanti e dal contesto sociale, politico e giuridico del Paese ospitante. E’importante sottolineare quanto la depressione sia un disturbo multifattoriale, risultante da un’interazione complessa e dinamica di diversi fattori. Un aspetto importante di questo lavoro è che le donne migranti intervistate hanno documentato le loro esperienze di depressione al fine di acquisire comprensione e riconoscimento per la loro sofferenza. Dobbiamo imparare a comprendere, riconoscere e apprezzare la sofferenza emotiva e sociale dei migranti in tutte le sue varie dimensioni. Dobbiamo osare più amore ed empatia – come individui e come società – nei confronti dei migranti

Amina Trevisan, addottoratasi presso il Dipartimento di Storia e Filosofia dell’Università di Basilea, ha da poco pubblicato il suo lavoro di ricerca “Depressione e biografia. Esperienze di malattia di donne migranti in Svizzera”(“Depression und Biographie. Krankheitserfahrungen migrierter Frauen in der Schweiz”) ricevendo un premio e il sostegno della Swiss National Science Foundation (SNSF), grazie al quale è disponibile gratuitamente come pubblicazione PDF ad accesso libero.

Marianna Sica
GIR – Giovani Italiani in Rete