Dai tempi di Davis (geologo e geomorfologo, 1850 – 1934), l’Italia è considerata un laboratorio geologico. Infatti, la presenza di vulcani, di climi diversi da nord a sud, differenti strutture geologiche, differenti ambienti e conseguenti paesaggi, la rende nei tempi moderni una delle nazioni più studiate nel Mondo relativamente a quest’ambito.
Purtroppo però, l’eterogeneità geologica rende questa nazione una delle più delicate in assoluto, con l’assommarsi di tanti rischi, e quotidianamente si fa il conto con eventi naturali “responsabili” della morte di persone o di danni.
Gli italiani sono dunque testimoni da sempre di numerosi avvenimenti geologici che nel corso della storia hanno fortemente influenzato lo sviluppo della loro identità: basta pensare alla eruzione vesuviana del 79 DC che ha sepolto sotto la cenere piroclastica le città di Pompei ed Ercolano, ma anche, con le eruzioni precedenti e il contributo non di poco conto dei Campi Flegrei hanno reso la Campania una terra notevolmente fertile, tanto da essere descritta come “Felix”. Oggi dovrebbero aver maturato perciò una certa esperienza relativa a tutte le problematiche legate alla fragilità del territorio, e invece puntualmente, si fanno trovare impreparati di fronte all’ordinarietà della natura.
Da studente di geologia, affronto quotidianamente dal punto di vista applicativo queste problematiche, e spesso realizzo che queste siano di facile risoluzione, gestendo semplicemente la distanza da siti critici come le aree di piena dei fiumi o a valle di versanti in dissesto, o costruendo gli edifici in modo antisismico. La tecnologia e le conoscenze per mitigare il rischio non mancano in questa nazione, purtroppo però il solito approccio spicciolo tipico della mentalità italiana, per la quale il geologo non serve (basta ricordare le parole dell’attuale ministro del lavoro, Luigi Di Maio a Porta a Porta nel 2017 e ancor prima nel 2015 nella trasmissione diMartedì, quando ancora non ricopriva questo ruolo) e la quantità sempre minore di fondi destinata alla mitigazione dei rischi idrogeologici, sismici e alla ricerca in questo settore.
Ma ciò che lascia più perplessi è la crisi di un settore che, per il privato, dovrebbe trovar forza dalle numerose normative che nel corso degli anni hanno imposto sempre più adeguamenti degli edifici, messe in sicurezza e quant’altro. L’ambiguità della figura ibrida dell’ingegnere per l’ambiente e il territorio complica ulteriormente la situazione del geologo, che si ritrova anche a concorrere, per alcune competenze a lui non esclusive, con altre figure professionali di nuova generazione.
Nonostante tutto, c’è da registrare un miglioramento per quanto riguarda il numero di decessi dovuti ad eventi naturali in Italia. Basti pensare nei decenni scorsi alla tragedia del Vajont o l’alluvione di Salerno del 1954, che fecero morti a 4 e a 3 cifre, e ciò fortunatamente non si verifica più. È indubbio però, ed assolutamente scandaloso, che non ci sia in Italia una programmazione relativa alla prevenzione e all’educazione ambientale, oltre al fatto che vi siano numerosi edifici per lo più privati, abusivi e ubicati in luoghi problematici.
La geologia, infine, potrebbe anche essere fonte di reddito per la nazione. Certo, l’escursionismo geologico, con tutta l’economia che deriva dalle visite ai vulcani nazionali, è una discreta realtà nazionale. Mi riferisco però a quei geositi che i non professionisti del settore addirittura ignorano, ma rappresenterebbero qualcosa di altamente culturale.
W l’Italia e w la geologia.