A tu per tu con Claudio Baglioni!

baglioni2“Volevo cantare fin da bambino, scrivere in solitudine”. Intervista con Claudio Baglioni a pochi giorni dal concertone all’Hallenstadion di Zurigo del 7 aprile.

Musicista, autore, interprete. Claudio Baglioni dalla fine degli anni Sessanta a oggi è riuscito a conquistare una generazione dopo l’altra, grazie a un repertorio pop, melodico e raffinato, nel quale ha saputo fondere canzone d’autore e rock, sonorità internazionali, world music e jazz, rivoluzionando il concetto stesso di performance live.

In 50 anni di carriera hai scritto quasi 400 canzoni e venduto 60 milioni di album. Sei un artista carismatico, ma la tua carriera è un bizzarro miscuglio di ambizione e timidezza. È così?
Non so se il miscuglio sia bizzarro e se riguardi la carriera e non la mia persona. Ma sono tentato di pensare che la prima sia l’effetto della seconda. Se penso a me stesso, penso a una sorta di ossimoro: un sognatore concreto, un esibizionista timido, uno scettico fiducioso. “Papà: annunciami che devo cantare!”, ho detto, da piccolo, durante una riunione di famiglia.
Poi sono salito su una sedia è ho cominciato a cantare. È stato il mio primo concerto. Morivo dalla paura. Ma sentivo che, se non avessi cantato, sarei morto davvero. Dentro di me, ovviamente. Per questo amo così tanto il live. Perché credo che la musica viva solo quando chi suona e chi ascolta si trovano gli uni di fronte agli altri, quando le distanze si annullano e si entra in contatto fisicamente e non virtualmente. Un momento unico e irripetibile. Letteralmente, visto che accade solo lì e solo in quel momento. È questo genere di emozioni che dà la vita e la rende così straordinaria.

LA RICERCA DI EQUILIBRIO TRA MUSICA E PAROLE
Rispetto agli altri cantautori della tua generazione tu avevi una matrice musicale molto più forte secondo me….
Non so se sia davvero così. La parola ‘cantautori’ è stata spesso travisata. Letteralmente, cantautore è colui che interpreta le proprie canzoni. Fino agli anni ’50, i ruoli erano distinti: c’era chi scriveva le canzoni e chi le interpretava. Negli anni ’60 – soprattutto grazie ai Beatles, che possono essere considerati i primi ‘cantautori’ pop – le due figure si sono fuse ed è nato il ‘cantautore’.
Negli anni ’70, però, con ‘cantautore’ si identificava il cantante politicamente ‘impegnato’, al quale non si chiedeva di scrivere, suonare o cantare bene, ma di dire qualcosa di significativo. In qualche caso, quindi, l’aspetto musicale è stato trascurato e si è privilegiato il ‘messaggio’.
Risultato: non sempre la musica era all’altezza delle parole. Io ho sempre cercato di creare il miglior equilibrio possibile tra ‘ciò che si dice’ (testo) e ‘come lo si dice’ (musica), convinto che la canzone migliore sia quella nella quale la migliore melodia che riesci a comporre ospita il miglior testo che riesci a scrivere. Un testo, cioè, che ‘parla’ bene ma anche ‘suona’ bene. Una sintesi tutt’altro che facile da realizzare. Che diventa ogni giorno più difficile.
Non spetta a me dire se ci sono riuscito o no. Ma il fatto stesso che io sia qui a celebrare cinquant’anni di musica, significa se non altro che sono riuscito a non allontanarmi troppo dall’obiettivo.

I SOCIAL FANNO PARTE DELLA VITA
Oggi i cantanti usano molto i social. Riesci a fare un vita normale?
Ci provo. Anche se non saprei dire cosa sia, esattamente, una vita normale. Cerco di ricordarmi che i social fanno parte della vita e non viceversa. Sono un mezzo, non un fine. Con il coltello con cui tagliamo il pane possiamo anche colpire a morte una persona. Nessuno di noi, però, si sognerebbe di dire che è colpa del coltello.
Lo stesso vale per i social. Non possiamo attribuire loro delle responsabilità che sono esclusivamente nostre. I social sono un terreno che ci restituisce ciò che seminiamo. Se seminiamo odio o cattiveria, raccoglieremo cattiveria e odio. Proviamo a seminare bellezza: vedrete che raccoglieremo bellezza.

Secondo te i 24 brani di Sanremo sono un ritratto musicale dell’Italia. Come descriveresti, quindi, la musica italiana oggi?
Una stagione di passaggio, di riflessione, di ridefinizione. Ci sono molte idee e molti fermenti, la maggior parte dei quali ancora in fase embrionale. Diamo loro il tempo di svilupparsi e diventare, fuori, ciò che sono dentro. Sono certo che non ci deluderanno.

LA MUSICA ITALIANA È VIVA E PIENA DI ENERGIA
Per valorizzare al meglio il talento dei giovani italiani emergenti, è stato organizzato insieme al MAECI un tour mondiale di sei giovani artisti partecipanti a Sanremo Giovani 2018. Cosa ti aspetti da questa “vetrina” per la musica italiana contemporanea nel mondo?
Che dimostri a chi non la conosce o l’ha dimenticata che la musica italiana è viva e piena di energia e non ha assolutamente nulla da invidiare a quella di nessun altro paese al mondo. La nostra melodia, poi, ha una tradizione che nessun’altra melodia ha, e ha fatto appassionare e innamorare generazioni e generazioni di persone di ogni Continente: qualità innate, che non si perdono. Si tratta solo di avere l’occasione giusta per mostrarle. Il tour del quale parli è una di queste occasioni. E sono certo che i giovani artisti di Sanremo Giovani non se la lasceranno sfuggire.

Parliamo del tour “Al centro”: il palco sarà al centro che ti vedrà muoverti a 360°. La scaletta ripercorrerà la tua storia in ordine cronologico. Com’è avvenuto il lavoro di selezione dei brani?
La mia storia e la gente che mi segue li hanno scelti per me. Il resto è venuto da solo. Come la scaletta cronologica: una prima assoluta. Nessuno, prima, aveva mai fatto niente del genere. Né qui né fuori di qui. Il fatto è che, da quando ho iniziato a pensare “Al Centro”, mi sono reso che l’unico modo di raccontare questi cinquant’anni con la musica era quello di partire dall’inizio.
Le canzoni e io siamo cresciuti insieme, cambiandoci reciprocamente. Cambiavano i temi, la costruzione armonica, le linee melodiche, le sonorità, i musicisti… E il modo migliore di raccontare questa evoluzione era, appunto, seguire la cronologia.
Del resto, “Strada facendo”, “E tu come stai?”, “La vita è adesso”, “Le ragazze dell’Est” o “Mille giorni di te e di me” non sarebbero mai state le stesse, senza le canzoni che le hanno precedute. E nessuna di loro – né delle altre – sarebbe mai esistita senza “Questo piccolo grande amore”.
La strada è la successione, non la somma, dei nostri passi. E i miei passi sono le canzoni. Senza di loro, non avrei fatto tutta questa strada e non sarei nemmeno la persona che sono.

I CONCERTI NON SONO MAI UGUALI
C’è un’interpretazione dal vivo che ti emoziona più di ogni altra?
Impossibile rispondere. Perché ogni esibizione è diversa. La scaletta è sempre la stessa, ma ogni interpretazione è diversa. Così come diverso è il modo nel quale il pubblico ‘risponde’. Non esistono due concerti uguali. E, proprio per questo, non è possibile fare una graduatoria. Ognuno è unico a modo suo. Ognuno irripetibile. Ognuno indimenticabile. Forse per questo non vedo l’ora di mettere a fuoco le idee che mi sono appuntato durante questo doppio, straordinario, viaggio, per definire la prossima meta e rimettermi in cammino.

Raccontare in suoni e immagini le giuste emozioni durante i tuoi live immagino sia, oltre a fare divertire tutti, uno degli obiettivi. Cambia da città a città e che sensazione provi a ritornare a Zurigo?
Raccontarle, ma anche crearne di nuove e condividerle. Cambiano da sera a sera e da città a città, perché cambiano le persone. E sono le persone l’anima delle emozioni. Zurigo è una città sorprendente, che, al momento giusto, tira fuori un cuore e un ‘pathos’ che solo chi non la conosce non è in grado di immaginare. Io, per fortuna, la conosco. E non vedo l’ora di ritrovarla.

ZURIGO È UNA CITTA SORPRENDENTE
È da un po’ che manchi dalle nostre parti…
Sai qual è il problema? Che l’artista è uno e le città che gli piacerebbe incontrare, centinaia. E non è sempre facile riuscire a toccare tutti i porti che uno amerebbe toccare. Ma, quando ci si ritrova con le persone giuste, più della quantità conta la qualità del tempo che si trascorre insieme. E sono l’unicità e la bellezza di questo tempo che gonfiano il cuore di nostalgia e non fanno mai venire meno il desiderio di ritrovarsi ancora. Questa, almeno per me, è la cosa che conta di più. Il piacere di ritrovarsi e di capire che – anche se tutto, intorno a noi, è cambiato – l’emozione dello stare insieme no: lei è ancora quella della prima volta.

Il Gran Finale poi il 26 aprile a Firenze. Come mai Firenze?
Perché sono sempre stato affascinato dalla circolarità delle cose. Hai presente quei libri o quei film che finiscono con la stessa frase o con la stessa inquadratura con cui sono cominciati? È un po’ come quando, alla fine di un viaggio – dopo aver visto tanti posti, tante cose, tante persone nuove e affascinanti – uno prova il desiderio di tornare a casa, nei suoi luoghi, tra le sue cose, con le sue persone.
“Al Centro” è partito da Firenze e torna a Firenze, per chiudere il cerchio. Poi, dopo tanti mesi al centro della scena, me ne starò a casa, al centro dei miei pensieri e delle mie emozioni, a raccogliere le idee e a preparare il prossimo viaggio. Reale o ideale che sia.

UN “ALBUM NUOVO” È IN LAVORAZIONE
C’è un artista (italiano o straniero) con il quale avresti voluto o vorresti lavorare?
Più di uno. In dieci anni di ‘O’scia’’ e in due edizioni di Sanremo ho conosciuto e duettato con moltissimi artisti. Un’esperienza bellissima. Che mi ha dato molto. Sia sul piano umano, che artistico. Il fatto è, però, che, come autore, mi trovo più a mio agio con me stesso.
Scrivere – sia melodie che testi – è un fatto troppo personale, troppo interiore perché io possa pensare di aprirmi, fino a condividere certi pensieri e certe emozioni e approdare a una scrittura a quattro mani. Scrivere implica avere il coraggio di mettersi a nudo di fronte a sé stessi. Operazione difficilissima, se la si vuole fare davvero. Impossibile – almeno per me – affrontarla se non in solitudine.

Per quando un nuovo disco?
Presto, spero. È in lavorazione. Ma non so dire quando sarà pronto e non posso fare previsioni. Anche perché, fino all’ultimo momento, tutto potrebbe cambiare. Quello che posso dire è che non sarà, semplicemente, un ‘nuovo album’ ma sarà un ‘album nuovo’: nuovi temi, nuove melodie, nuove armonie, nuovi testi, nuovi arrangiamenti, nuove sonorità. Ho sempre cercato mondi musicali diversi, per dar vita ad album sempre diverso. Ripetersi significa deludere. Prima di tutto sé stessi e poi gli altri. E, prima o poi, anche le canzoni. Non vorrei smettessero di fidarsi e affidarsi a me e che vadano a bussare alla porta di qualcun altro. Non me lo perdonerei mai. E credo che non me lo perdonerebbe nemmeno chi mi ha seguito per tutto questo tempo.