L’incontro con Giovanni Impastato, previsto per il prossimo 23 maggio alle ore 18 presso la Missione cattolica di Berna, si inserisce nel quadro del «Progetto legalità», che è nato dalla collaborazione dei Comites di Basilea, Berna e Neuchâtel e Zurigo e che sta riscuotendo un importante successo, sia nella comunità italiana, che in quella svizzera. Giovanni presenterà il suo ultimo libro «Oltre i 100 passi», edito da Piemme e con le illustrazioni di Vauro.
Giovanni Impastato è il fratello minore di Peppino, giovane ragazzo siciliano che, con un gruppo di amici decide, nel 1977, di fondare una radio, «Radio Aut», che fosse libera e svincolata dal sistema mafioso. Peppino vive a Cinisi, feudo di Tano Badalamenti, uno dei boss mafiosi più sanguinari e la sua famiglia è una famiglia mafiosa. Con la sua radio urlava contro la mafia, l’omertà, la corruzione ed allo stesso tempo organizzava eventi collettivi in cui le persone potessero ritrovare il gusto di stare bene insieme. Si chiede Giovanni nel suo «Oltre i 100 passi»: «E come poteva andare a finire tutto questo? La gente lo sapeva: doveva finire male, finire nel nulla dopo una violenza che avrebbe procurato la morte a Peppino. E la morte venne, con un terribile botto, così forte che dopo di esso, pensavano i mafiosi, ci sarebbe stato solo silenzio». Ed invece non è stato cosi: la morte di Peppino non è passata sotto silenzio Ancora oggi, infatti, tante persone, tanti giovani visitano il casolare dove l’hanno ammazzato, ed altrettante alimentano le fila di associazioni, e gruppi che quotidianamente si oppongono alla criminalità diffusa.
Il Progetto legalità e l’incontro con Giovanni Impastato vuole andare oltre quei «100 passi», (titolo del film di Marco Tullio Giordana), che separavano a Cinisi, la casa di Impastato dall’abitazione del boss Badalamenti. Andare oltre significa dire che sì, esiste la mafia, ma anche la mentalità mafiosa: tollerare i soprusi, fare traffici illeciti, chiudere un occhio di fronte ad un atto illegale, non è mafia nel senso del termine che l’immaginario collettivo conosce, ma è terreno fertile per far crescere una «mentalità mafiosa». Contro questo fenomeno abbiamo un’arma fortissima: la cultura, Come affermava Gesualdo Bufalino: «La mentalità mafiosa, la mafia saranno vinte da un esercito di maestri elementari», che insegnino ai ragazzi a non accontentarsi, ma ad andare al di là dell’apparenza. «La mafia, diceva sempre la madre di Impastato, non si combatte con la pistola, ma con la cultura». Ed è a questo principio che il nostro progetto si è ispirato Ma andare oltre significa anche ribadire e far sapere anche fuori dai confini italici che l’Italia non è il paese di Totò Riina, bensì di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Mariachiara Vannetti
Presidente Comites di Berna e Neuchâtel